Atti discriminatori: presupposti e rimedi

I comportamenti discriminatori e i possibili rimedi per la persona lesa.

Presupposti

Costituisce discriminazione razziale:

  • ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, determini una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose;
  • ogni comportamento avente per scopo o per effetto di distruggere o compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità iniziale, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale o in ogni altro settore della vita pubblica.

In particolare, costituisce atto di discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente alla adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, gruppo etnico o linguistico, confessione religiosa, cittadinanza e che riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività in questione.

Compie atto di discriminazione:

  • il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio o la persona esercente un servizio di pubblica necessità che, nell’esercizio delle sue funzioni o servizi, compia od ometta di compiere atti che riguardino lo straniero e che lo discrimino ingiustamente solo in quanto legati alla sua condizione di straniero o appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;
  • chiunque imponga condizioni più svantaggiose ad uno straniero o si rifiuti di fornirgli beni o servizi normalmente offerti al pubblico, per nessun altra ragione che non sia inerente alla sua condizione di straniero o appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;
  • chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso ad una occupazione, un alloggio, all’istruzione, alla formazione, a servizi sociali e socio-assistenziali, ad uno straniero regolarmente soggiornante in Italia, per nessun altra ragione che non sia inerente alla sua condizione di straniero o appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;
  • chiunque impedisca, con azioni od omissioni, l’esercizio di un’attività economica legittimamente intrapresa dallo straniero regolarmente soggiornante in Italia, solo per la sua condizione di straniero o appartenente ad una determinata razza, confessione religiosa, etnia o nazionalità;
  • il datore di lavoro o i suoi preposti, che, ai sensi dell’art. 15, legge 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) e della legge 108 del 1990, compiano qualsiasi atto o comportamento che producano un effetto pregiudizievole, discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in base alla loro appartenenza ad una razza, gruppo etnico o linguistico, confessione religiosa o cittadinanza.
Rimedi

La parte che si ritiene lesa dal comportamento discriminatorio presenta istanza al giudice, chiedendo che sia ordinata la cessazione del comportamento pregiudizievole.

Il giudice si pronuncia favorevolmente, ove ritenga sussistere la discriminazione razziale; inoltre, adotta ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.

L’istanza può essere presentata dalla parte anche personalmente (cioè senza l’ausilio di un avvocato), depositandola presso la cancelleria del giudice (la competenza in questo caso è del tribunale in composizione monocratica del luogo di domicilio o residenza della parte).

Il giudice, prima di decidere, sente sia l’istante che il presunto autore (persona fisica o giuridica, privato o Pubblica Amministrazione) dell’atto di discriminazione, omettendo ogni formalità non essenziale al contraddittorio ed assumendo le prove indispensabili per il tipo di provvedimento richiesto, secondo una sua valutazione di opportunità.

L’istante, a tal fine, può dimostrare la sussistenza del comportamento discriminatorio anche ricorrendo ad elementi di fatto, di natura statistica o non, relativi ad assunzioni, regimi contributivi, assegnazioni di mansioni e di qualifiche, trasferimenti, progressioni in carriera e licenziamenti operati dalla controparte.

Il giudice può valutare tali elementi di fatto nei limiti fissati dall’art. 2729, primo comma, del codice civile (cioè, in quanto se ne possano dedurre presunzioni gravi, precise e concordanti).

La decisione giudiziale assume la forma dell’ordinanza: se favorevole all’istante, contiene i provvedimenti richiesti e necessari, immediatamente esecutivi.

In caso di urgenza, peraltro, il giudice provvede anzitutto con decreto motivato, dopo aver assunto se strettamente necessario sommarie informazioni; inoltre, con lo stesso decreto fissa l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro il termine massimo di 15 giorni ed assegna all’istante 8 giorni per notificare l’istanza e il decreto alla controparte.

All’udienza fissata, provvede infine a confermare, modificare o revocare i provvedimenti emanati col decreto.

Tra i provvedimenti adottabili in questa sede, rientra anche la condanna della controparte al risarcimento del danno, sia quello patrimoniale che (se sussiste) quello non patrimoniale.

Contro la decisione del tribunale monocratico (che potrebbe, in teoria, essere di rigetto delle ragioni addotte dall’istante), è possibile proporre reclamo al tribunale in composizione collegiale, secondo le modalità indicate nell’art. 739, secondo comma, del codice di procedura civile.

Nella decisione che accerta la discriminazione, inoltre, il giudice ordina al datore di lavoro di definire, sentite le rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale, un piano per la rimozione della discriminazione.

Le suddette rappresentanze sindacali, peraltro, hanno la possibilità di presentare un proprio ricorso avverso il comportamento discriminatorio del soggetto, se questo comportamento assume dimensione plurima, cioè è rivolto a più lavoratori stranieri, anche se costoro non sono individuabili in modo immediato e diretto.

Va osservato che la discriminazione denunciabile secondo le modalità sopra indicate è anche quella subita da cittadini italiani, apolidi o di altri Paesi dell’Unione Europea presenti in Italia.

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