Falsità in documento informatico e frode informatica

L'introduzione nell'ordinamento giuridico del concetto di "documento informatico" e la necessità di creare una nuova fattispecie di reato, definito "frode informatica", nella quale la comune condotta di artificio e raggiro è più specificamente integrata dall'alterazione di un sistema informatico o telematico.

La legge 547 del 1993 ha introdotto nel codice penale l’art. 491 bis con il quale è stata estesa la tutela penale vigente in tema di falsità documentali alle così dette “falsità informatiche” stabilendo che “ se alcune delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico o privato, si applicano le disposizioni del capo stesso, concernenti rispettivamente gli atti pubblici e le scritture private”. A tal fine è stato è stato introdotto nell’ordinamento penale il concetto di “documento informatico” definito nella seconda parte dell’art. 491 bis c.p. come “qualsiasi supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificamente destinati ad elaborarli”. Tale definizione ha creato non pochi problemi di applicazione pratica per la evidente difficoltà di identificare il supporto con i dati in esso contenuti. Ed invero, a stretto rigore, oggetto della falsificazione non possono dirsi i supporti, per la loro intrinseca modificabilità, ma i dati o informazioni in essi contenuti. Tanto è vero che il legislatore ha sentito l’esigenza di meglio specificare la nozione di documento informatico che con il regolamento approvato con D.P.R. 10 novembre 1997 n° 513 ha individuato il documento informatico, anziché nel supporto, nella “rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” (art. 1 lett. a).
Inoltre, l’art. 5 del D.P.R 513/97 ha esteso al documento informatico, sottoscritto con firma digitale, l’efficacia di scrittura privata, ai sensi dell’art. 2702 del codice civile; ha esteso, inoltre, al documento informatico l’efficacia probatoria, prevista dall’art. 2712 c.c., per le riproduzioni meccaniche e ha consentito l’uso del documento informatico per la tenuta delle scritture contabili previste dall’art. 2214 del c.c.-
Con riferimento al trattamento sanzionatorio applicabile in caso di violazione dell’art. 491 bis, occorrerà fare riferimento alla disciplina prevista dal capo III del codice penale in tema di falsità in atti, che prevede pene di entità diversa a seconda della gravità e dell’oggetto della violazione.
La difficoltà di contenere nell’ambito dell’art. 640 c.p. – che prevede il reato di truffa – le analoghe violazioni di carattere “informatico”, ha indotto il legislatore a ritenere la necessità di creare una nuova fattispecie di reato, definito “frode informatica”, nella quale la comune condotta di artificio e raggiro è più specificamente integrata dall’alterazione di un sistema informatico o telematico.
La legge 547/93, infatti, ha introdotto l’art.640 ter codice penale il quale espressamente prevede: “chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa dal € 51 a € 1.032”. La pena prevista dal 1° comma dell’art. 640 ter è aumentata da uno a cinque anni di reclusione e da € 309 a € 1.549 se il fatto è commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema..
Nel reato di frode informatica l’azione ingannevole, oggetto del reato, è attuata mediante la manipolazione dei sistemi informatici (hardware e software), alterandone o guidandone il funzionamento, al fine di raggiungere un profitto illecito e, in ogni caso, finalità diverse da quelle volute dal legittimo titolare del sistema e all’insaputa di questi. Intatti, la fattispecie in esame tende a tutelare la libertà negoziale, garantendo che ciascuno possa determinarsi liberamente nel compiere un atto di disposizione del proprio patrimonio e non perché vi sia stato indotto con l’inganno.
Il reato, richiede per la sua realizzazione il dolo generico e deve riferirsi sia alle modalità della condotta (cosciente e volontaria manipolazione del sistema), che al perseguimento dell’oggetto materiale, (coscienza e volontà di perseguire un profitto ingiusto con altrui danno).
Il reato è punibile a querela della persona offesa, così come previsto dal 3° comma dell’art. 640 ter c.p.
Un caso particolare di frode informatica concerne i sistemi di pagamento mediante carte di credito o bancomat il quale può realizzarsi mediante manipolazione o alterazione del software che gestisce il sistema. Tale fattispecie va debitamente distinta dall’uso indebito di carte di credito o altri strumenti di pagamento elettronici. Infatti, nell’ipotesi di uso di carte di credito falsificate o indebitamente sottratte ad altri, trova applicazione l’art. 12 del D.L. 143/91, ai sensi del quale è punito “chiunque, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di danaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi” nonché “chi al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di danaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi.

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