Danno da eccessiva durata delle operazioni concorsuali.
Con sentenza n.17794 del 22 novembre 2003, la Corte di Cassazione, ha statuito che
la Pubblica Amministrazione può esser ritenuta responsabile del pregiudizio subito
a causa della durata delle operazioni concorsuali, quando questa ecceda i limiti
di ragionevolezza da valutare alla stregua di tutte le circostanze del caso, e segnatamente
del livello delle professionalità da selezionare e del numero dei partecipanti in
relazione a quello dei posti messo a concorso.
Sezione Lavoro
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo TREZZA - Presidente
Dott. Paolino DELL'ANNO - Consigliere
Dott. Alessandro DE RENZIS - Consigliere
Dott. Maura LA TERZA - Consigliere
Dott. Filippo CURCURUTO - Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GRANATA CIRO, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE BRUNO PELIZZI 21, presso lo
studio dell'avvocato MARIA, TERESA SCARCIELLO, rappresentato e difeso dall'avvocato
ERRICO DI LORENZO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
COMUNE DI MASSA DI SOMMA;
- intimato -
e sul 2º ricorso n. 1586/2002 proposto da:
COMUNE MASSA DI SOMMA, in persona del legale rappresentante "pro tempore", elettivamente
domiciliato in ROMA VIA PORTUENSE 104, presso De Angelis Antonia, rappresentato
e difeso dall'avvocato GIANCARLO VIOLANTE, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
nonché contro
GRANATA CIRO, elettivamente domiciliato in ROMA VLE BRUNO PELIZZI 21, presso lo
studio dell'avvocato MARIA TERESA SCARCIELLO, rappresentato e difeso dall'avvocato
ERRICO DI LORENZO, giusta delega in atti;
- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sent. n. 1207/01 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 10 ottobre
2001 - R.G.N. 953/01;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 aprile 2003 dal
consigliere Dott. Filippo CURCURUTO;
udito l'Avvocato DI LORENZO;
udito l'Avvocato VIOLANTE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo FUZIO
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Ciro Granata convenne in giudizio il Comune di Massa di Somma dinanzi al Tribunale
di Nota, affinché fosse dichiarata l'illegittimità del licenziamento intimatogli
dal convenuto, con condanna di questo a riassumerlo, a pagargli i ratei di stipendio
dalla data del recesso, ed a risarcirgli tutti i danni connessi alla mancata esplicazione
dell'attività lavorativa, ivi compreso quello biologico.
A fondamento della domanda il Granata espose che:
era risultato vincitore del concorso bandito dal convenuto per un posto di operaio
generico manutentore, riservato alle categorie protette ex legge n. 482 del 1968,
la cui graduatoria era stata approvata dalla giunta comunale con deliberazione del
15 luglio 1993;
tale deliberazione era stata impugnata da altro candidato, che ne aveva fatta valere
l'illegittimità per contrasto con l'articolo 7 del decreto legislativo n. 509 del
1988, termine del quale l'iscrizione nell'elenco degli invalidi civili richiede
un'invalidità superiore al 45% mentre esso Granata sarebbe stato invalido solo nella
misura del 37%;
la delibera era stata annullata dal giudice amministrativo, sul rilievo che il Granata,
in possesso dei requisiti alla data del bando, li aveva perduti successivamente,
non rientrando la misura della sua invalidità in quelle, più elevate, stabilite
dal cit. decreto legislativo n. 509 del 1988;
passata in giudicato la sentenza di annullamento, il Comune di Massa di Somma, con
nota del 10 maggio 2000, dopo sette anni di lavoro, lo aveva estromesso dal posto
di lavoro.
Nella resistenza del Comune convenuto, il Tribunale rigettava la domanda.
Su appello del Granata, contrastato dal Comune, la Corte d'Appello di Napoli ha
confermato la sentenza di primo grado, rigettando l'eccezione di difetto di giurisdizione
sollevata dall'ente, ed osservando quanto segue, per ciò che ancora rileva.
Premesso che il giudicato formatosi sul punto precludeva il riesame nel merito delle
questioni, che avevano già costituito oggetto di esame da parte del giudice amministrativo,
ed osservato che, a stretto rigore, il Comune non aveva licenziato l'appellante
ma aveva dichiarato nullo il rapporto di lavoro con lo stesso intercorso, per il
venir meno del presupposto per la sua valida costituzione, ossia l'approvazione
della graduatoria e la nomina in servizio del Granata come vincitore del concorso,
contenute nella delibera 15 luglio 1993, la Corte d'Appello ha precisato che ad
essa competeva solo di verificare se il conseguente provvedimento di risoluzione
del rapporto di lavoro fosse o no sorretto, secondo i generali principi giuslavoristici,
da giusta causa o giustificato motivo.
Al riguardo, secondo la Corte, non aveva anzitutto alcun rilievo la questione di
illegittimità costituzionale degli articoli 2 e 7 del decreto legislativo n. 509
del 1988, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, sollevata dall'appellante,
perché, stante la preclusione del giudicato, l'eventuale declaratoria di illegittimità
non avrebbe comportato la reviviscenza della delibera annullata.
Quindi, non poteva esservi dubbio che, eliminata la delibera di nomina del Granata
quale vincitore del concorso, il Comune non poteva far altro che risolvere il suo
rapporto di lavoro, ormai non più sorretto dal presupposto della nomina in servizio
a seguito di concorso, indispensabile in materia di pubblico impiego.
Quanto alla responsabilità del Comune, essa era da escludere sia sotto il profilo
dell'articolo 2043 c.c., che dell'articolo 36, comma 8, del decreto legislativo
n. 29 del 1993, non potendo addebitarsi al Comune alcuna condotta illecita o colposa
né in ordine ai tempi osservati nell'espletamento delle operazioni concorsuali né
in ordine all'omessa verifica dello stato invalidante dei concorrenti, e quindi
del Granata, alla luce delle nuove tabelle di invalidità entrate in vigore nelle
more del concorso stesso.
In primo luogo, infatti, i tempi di espletamento del concorso bandito con delibera
6 marzo 1992 e conclusosi con l'approvazione della graduatoria e la nomina del vincitore
il 15 luglio 1993, ossia circa un anno e quattro mesi dopo, non erano affatto irragionevoli.
Inoltre, non era previsto alcun termine per il completamento delle operazioni concorsuali
ed, in particolare non vi era alcuna norma che facesse carico al Comune di completarle
nel termine massimo del 13 marzo 1993, data di entrata in vigore delle nuove tabelle
di invalidità, onde non correre il rischio che, per la retroattività delle nuove
tabelle, aspiranti idonei cessassero di esser tali. Sarebbe stato, semmai, onere
dell'interessato, dopo la modifica delle tabelle, attivarsi per la conferma del
proprio stato invalidante, anche alla luce della diversa percentuale minima richiesta
per il diritto all'iscrizione negli elenchi. Dei resto, lo stesso decreto legislativo
n. 509 del 1988, nell'articolo 7, aveva previsto un meccanismo transitorio per gli
invalidi civili iscritti negli elenchi di cui all'articolo 19 della legge n. 482
del 1968, stabilendo che i soggetti con grado di invalidità inferiore al 46% conservassero
il diritto all'iscrizione per un periodo di dodici mesi decorrente dalla data di
entrata in vigore del decreto ministeriale. Il Granata avrebbe dunque potuto attivarsi
per il riconoscimento di una invalidità tale da consentirgli la conferma del diritto
alla iscrizione negli elenchi, ma, non avendolo fatto, non poteva pretendere di
far ricadere sul Comune le conseguenze di un comportamento addebitabile esclusivamente
a se stesso.
Neppure poteva dirsi che l'ente fosse venuto meno ad uno specifico obbligo di sottoporre
Granata a visita medica prima dell'avviamento al lavoro, per verificare la persistenza
dello stato invalidante nella misura minima richiesta. Infatti, in primo luogo,
a norma dell'art. 9 del decreto legge n. 463 del 1983, tale obbligo era imposto
agli Uffici Provinciali del Lavoro della Massima Occupazione e non all'ente presso
cui avviene l'avviamento. In secondo luogo, un accertamento disposto dal Comune
non avrebbe comunque potuto conseguire il risultato di includere il Granata negli
elenchi con una percentuale superiore al 45%, essendo tale attività rimessa unicamente
alla competente commissione medico-legale. Infine, circa la specie di responsabilità
delineata nell'articolo 36, comma 8, del decreto legislativo n. 29 del 1993, la
Corte ha osservato che la norma prevede solo il diritto del lavoratore al risarcimento
del danno cagionatogli dalla prestazione lavorativa resa in violazione di norme
imperative. Sennonché, nella specie, le prestazioni espletate dal Granata tra l'assunzione
e la risoluzione del rapporto erano state regolarmente retribuite, né in riferimento
alle stesse era stata avanzata alcuna rivendicazione.
Ciro Granata chiede la cassazione di questa sentenza sulla base di quattro motivi.
Il Comune di Massa di Somma resiste con controricorso e, con ricorso incidentale,
contesta la giurisdizione del giudice ordinario.
Il ricorso incidentale è stato deciso dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza
del 28 gennaio 2003, n. 1238, e la causa viene ora dinanzi a questa sezione per
l'esame delle residue questioni ed i provvedimenti sulle spese.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, denunziando violazione degli articoli 2 e 7 del
D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, nonché del Decreto Ministeriale 5 febbraio 1992,
entrato in vigore il 13 marzo 1992, il ricorrente addebita alla sentenza impugnata
l'errore di aver ritenuto che nessun termine di completamento del concorso fosse
previsto nel bando o in altra fonte normativa.
I passaggi argomentativi della censura possono ricostruirsi come segue. Il bando
di concorso risale al 6 marzo 1992, data in cui è in vigore l'articolo 7 del D.Lgs.
n. 509 del 1988, il quale stabilisce che coloro che, come i Granata, hanno un grado
di invalidità inferiore al 46%, "conservano tale diritto per un periodo di dodici
mesi decorrente dalla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo
2, comma 1," della stessa legge.
Questo decreto è stato emanato il 26 febbraio 1992, ed è entrato in vigore il 13
marzo successivo, sì che il Granata a norma dell'articolo menzionato, risultava
iscritto come invalido fino al 13 marzo 1993.
Il Comune, avendo bandito il concorso ai sensi della vecchia normativa e richiesto
il certificato d'iscrizione di invalidità secondo le percentuali precedenti, era
certamente tenuto a rispettare il periodo di tempo stabilito, ossia l'anno di "vacatio"
previsto proprio per l'esaurimento della procedura e delle pratiche in corso, non
potendo non sapere che, con il decorso dell'anno, diventavano automaticamente illegittimi
tutti gli atti nel frattempo posti in essere, a partire dall'atto di approvazione
degli ammessi al concorso, i quali, come il Granata, rischiavano di perdere ogni
requisito al decorrere dell'anno.
Con il secondo motivo di ricorso, denunziando violazione dell'articolo 6, comma
1, della Convenzione dei diritti dell'uomo, (da identificare, a quel che sembra,
in assenza di più puntuali indicazioni, nella Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950,
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848) nonché motivazione assurda e contraddittoria,
il ricorrente addebita alla sentenza impugnata di non aver considerato che il menzionato
art. 6, comma 1, della convenzione si deve considerare violato quando il ritardo
di una procedura, che non presenta alcuna complessità, oltre il termine ragionevole
previsto da tale disposizione cagiona danno al cittadino, e di non aver rilevato
che la violazione di legge commessa dal Comune, non osservando il periodo di "vacatio",
prescinde certamente dall'onere posto, peraltro erroneamente, a carico del Granata,
secondo cui era quest'ultimo a doversi presentare entro l'anno al controllo della
invalidità al fine della nuova iscrizione, dal momento che, se anche il Granata
si fosse attivato in tal senso, qualora egli fosse stato ritenuto non più invalido
e quindi non legittimato il concorso, il danno da lui subito sarebbe stato pur sempre
ed esclusivamente cagionato dalla condotta del Comune, che, protraendo la durata
del concorso oltre il termine del 13 marzo 1993, dopo il quale entravano in vigore
le nuove tabelle, ne aveva determinata la inidoneità alla nomina quale vincitore.
Sotto altro profilo, secondo il ricorrente, la Corte d'Appello aveva a torto ritenuto
non colposa la condotta dell'ente, che aveva impiegato un anno e mezzo per espletare
un concorso per la assunzione di un operaio, pur sapendo che il Granata avrebbe
perso il requisito di legittimazione dopo il 13 marzo 1993, data entro la quale
con un minimo di diligenza si sarebbe potuto portare a termine il concorso. Contrariamente
all'opinione della Corte di merito, si era, quindi, in presenza di una colpa di
particolare intensità, quale colpa con previsione dell'evento.
Con il terzo motivo di ricorso, denunziando violazione dell'articolo 9 del decreto
legge 12 settembre 1983, n. 463 il ricorrente addebita alla sentenza impugnata grave
illogicità nell'aver posto l'onere del controllo dell'invalidità secondo le nuove
tabelle a carico del Granata e non del Comune e della commissione esaminatrice comunale.
Secondo il ricorrente, il controllo avrebbe dovuto esser effettuato dal Comune per
due ragioni: per non far diventare automaticamente invalido il concorso e tutti
gli atti relativi, facendo colposamente decorrere il termine del 13 marzo 1993,
con conseguente perdita del requisito di invalidità di chi era nelle condizioni
del Granata, la cui percentuale di invalidità del 38% era chiaramente rilevabile
dal certificato allegato agli atti del concorso; e perché la legge citata, nella
costante interpretazione del giudice amministrativo, in caso di inerzia degli Uffici
provinciali del lavoro, pone l'onere del controllo proprio a carico del Comune.
Con il quarto, ed ultimo, motivo di ricorso il ricorrente addebita alla sentenza
impugnata di avere ritenuto irrilevante la questione di costituzionalità degli articoli
2 e 7 del D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, sul valore retroattivo delle nuove tabelle
di invalidità, entrato in vigore a seguito del decreto ministeriale 26 febbraio
1992. Secondo il ricorrente, il richiamo, fatto dalla sentenza, al principio di
inapplicabilità della pronunzia d'incostituzionalità alle situazioni esaurite per
effetto del giudicato, sarebbe improprio, perché, discutendosi nella specie non
dell'approvazione della graduatoria ma della legittimità o meno del licenziamento,
il giudicato formatosi sulle deliberazioni costituenti il presupposto del licenziamento
non riguardava quest'ultimo, sì che non può parlarsi di situazione che abbia interamente
esaurito i propri effetti.
I primi due motivi, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
Nei limiti che seguono, essi sono fondati.
Premesso che la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia è ormai acquisita,
dopo la decisione 28 gennaio 2003, n. 1231 delle Sezioni Unite, già richiamata,
il tema che i due motivi sottopongono alla Corte è quello del danno derivante al
partecipante ad un concorso per la nomina di un pubblico dipendente, dal protrarsi
delle operazioni concorsuali.
Del ritardo nello svolgimento di siffatte procedure ha avuto modo di occuparsi la
giurisprudenza amministrativa, che ha considerato fonte di possibile pregiudizio
degli interessi dei partecipanti, la patologica lentezza del procedimento concorsuale,
ricollegando a tale premessa conseguenze diverse a seconda delle varie situazioni,
ma unificate dal comune obiettivo di eliminare o almeno ridurre l'area della lesione
subita dagli interessati. Così, ad es., nel caso di un concorso riservato al personale
dipendente dal Ministero della Pubblica Istruzione, protrattosi anormalmente, è
stata ritenuta illegittima, per difetto di motivazione, la nomina dei vincitori
da una data che, senza tener conto di tale anomalia, era stata fissata in epoca
posteriore a quella di nomina di vincitori di altri analoghi concorsi successivi,
ed il vizio della motivazione è stato ricollegato proprio alla mancata considerazione
"della lesione derivante agli interessati dalla patologica lentezza del procedimento
concorsuale" (Cons. Stato, VI Sez. 5 ottobre 1984, n. 592).
Analogamente, sul rilievo che l'esercizio del potere discrezionale di cui disponeva
l'amministrazione per l'espletamento dei concorsi previsti dalla legge 3 novembre
1961, n. 1255 - che aveva istituito una riserva, a favore del personale già in servizio
presso le università, dei posti del ruolo delle segreterie universitarie, istituito
con la legge stessa - non aveva risposto ai necessari requisiti di legittimità e
di coerenza per quel che attiene ai profili cronologici ed, in particolare, per
il grave ritardo, con cui si era proceduto all'espletamento dei concorsi, che non
rispondeva non solo all'interesse di dipendenti, ma neanche all'interesse pubblico
ad un rapido espletamento della procedura concorsuale, si è ritenuto che essendo
derivata dall'illegittimo comportamento dell'amministrazione la lesione della legittima
aspettativa di carriera dei dipendenti, con conseguente vantaggio di altri dipendenti
immessi in servizio in epoca successiva, nonché l'impedimento allo sviluppo della
carriera ed al riconoscimento dell'avvenuto svolgimento delle funzioni per i dipendenti
ammessi a partecipare ai concorsi di cui alla legge n. 1255 cit., fosse illegittimo
il silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza dei vincitori di detti concorsi
diretta ad ottenere la ricostruzione di carriera (Cons. Stato Sez. VI 18 ottobre
1977, n. 794; e, nello stesso ordine concettuale, Cons. Stato, Sez. VI, 16 gennaio
1976, n. 1).
Anche la giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione di esaminare l'argomento
di cui si tratta, e le indicazioni da essa fornite, benché funzionali all'esame
della questione della giurisdizione, sono nondimeno utili per un esatto inquadramento
dei termini di questa controversia.
È, quindi, opportuno ricordare che la controversia con la quale un soggetto, assunto
con decorrenza da una certa data soltanto a seguito dell'annullamento da parte del
giudice amministrativo del provvedimento comunale che lo collocava al terzo posto
nella graduatoria di un concorso a due posti di bidella, lamentando la tardività
dell'assunzione, proponga contro il comune domanda di risarcimento dei danni commisurati
all'importo della differenza fra le retribuzioni perdute nel periodo antecedente
l'assunzione tardiva l'"aliunde perceptum", rientra nella giurisdizione del giudice
ordinario, alla stregua del criterio del cosiddetto "petitum" sostanziale, cioè
della "causa petendi" della domanda (costituita dall'intriseca natura della posizione
soggettiva dedotta in giudizio, siccome individuata dal giudice e determinata in
relazione alla sostanziale protezione ad essa accordata in astratto dal diritto
positivo). Infatti, l'oggetto della detta controversia non è una situazione giuridica
nascente da un rapporto di impiego già in atto, ma si fonda sull'assenza della sua
tempestiva costituzione, restando in tal modo estraneo alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, già esistente in materia di pubblico impiego, nella
quale ricadevano le sole controversie inerenti a rapporti di impiego già costituiti.
Ne consegue che, nella specie, la questione della natura della situazione soggettiva
fatta valere dal suddetto soggetto, che si assume lesa dal comportamento del comune
e riguardo alla quale si assume verificato il danno lamentato, non vertendosi in
ipotesi di giurisdizione esclusiva (rispetto alla quale soltanto la questione della
natura della situazione assume rilievo ai fini dell'individuazione della giurisdizione,
essendo strumentale all'identificazione della materia a quella giurisdizione devoluta),
attiene esclusivamente al merito della vicenda giurisdizionale, competendo, in generale,
al giudice ordinario adìto con una controversia avente ad oggetto una pretesa risarcitoria
accertare se la situazione giuridica soggettiva fatta valere sia tale da determinare
l'insorgere di un'obbligazione risarcitoria (Cass. Sez. Un. 19 novembre 1999, n.
799).
Si deve, peraltro, ulteriormente sottolineare, per quanto interessa la presente
decisione, che nella sentenza appena citata le Sezioni Unite hanno anche rimarcato
come l'eventuale qualificazione della posizione dell'attore in termini di interesse
legittimo, non avrebbe potuto comportare di per sé la non configurabilità del diritto
al risarcimento, sottolineando poi che, ad ogni modo, pur accolta l'idea di tale
non configurabilità, non se ne sarebbe potuto inferire ragione per la declinatoria
della giurisdizione del giudice ordinario: precisazione particolarmente utile nel
caso in esame, poiché la affermata giurisdizione sulla controversia, non esime,
come s'è detto, dalla indagine circa la possibilità di dar rilievo sul piano risarcitorio
alla situazione giuridica fatta valere, in relazione alla consistenza di quest'ultima.
Fatte tali premesse, è da osservare che la sentenza ora impugnata, nel disattendere
la tesi del Granata che ricollegava alla lunghezza anomala del procedimento concorsuale
le conseguenze negative da lui subite in connessione con le nuove percentuali di
invalidità, ha affermato, in sostanza, che non vi era alcun comportamento colposo
del Comune, perché nessun termine per il completamento del concorso era previsto
nel bando o in altra normativa, e perché ad ogni modo i tempi, di circa un anno
e quattro mesi, per il completamento delle operazioni non potevano affatto considerarsi
irragionevoli. La prima ragione, nei termini prospettati dal giudice di merito,
non può esser condivisa. È evidente che, se sulla base di una regola esplicita,
il concorso di cui si tratta avesse dovuto concludersi entro un determinato termine,
il problema qui esaminato non avrebbe avuto ragion d'essere. Ma la questione va
posta diversamente, e deve esser correlata con la seconda affermazione fatta dalla
Corte territoriale.
In proposito è opportuno tener presente che, nella sua assolutezza,
la tesi secondo cui non vi è alcun termine per lo svolgimento delle procedure concorsuali
di assunzione o di Sezione, non corrisponde al diritto ora vigente, poiché a seguito
del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 "Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi
nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi
unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi"), "prima dell'inizio
delle prove concorsuali, la commissione, considerato il numero dei concorrenti,
stabilisce il termine del procedimento concorsuale e lo rende pubblico" (art. 11,
comma 1, del D.P.R. cit.) e "le procedure concorsuali devono concludersi entro sei
mesi dalla data di effettuazione delle prove scritte o, se trattasi di concorsi
per titolo, dalla data della prima convocazione" (art. 11, comma 5, D.P.R. cit).
Ora, se è vero che il concorso cui partecipò il Granata non poteva esser
soggetto alle due precise regole appena indicate, perché svoltosi prima della loro
entrata in vigore, non pare tuttavia seriamente contestabile che, anche in assenza
di tali regole, un concorso per la nomina di un pubblico dipendente non potesse
legittimamente svolgersi con ritardi ingiustificati pena la lesione anche degli
interessi pubblici che, attraverso la procedura, dovrebbero trovare soddisfazione:
il che, come s'è visto, è profilo ben presente anche nella giurisprudenza amministrativa,
né potrebbe esser altrimenti, se solo si considerano i principi anche costituzionali,
quale in specie quello del buon andamento (art. 97 Cost.), che devono presiedere
ai comportamenti delle pubbliche amministrazioni.
Il problema è allora quello di accertare se, in concreto, nello svolgimento delle
operazioni concorsuali, si sia superata la soglia della ragionevolezza.
Su questo punto la risposta negativa data dalla sentenza è inadeguata e, in sostanza,
meramente assertiva, limitandosi essa ad affermare che quattordici mesi sono un
termine di durata niente affatto irragionevole. Ma la incongruità della motivazione
risulta immediata già ove si considerino il modesto livello della professionalità
da selezionare (operaio generico manutentore) e la unicità del posto da assegnare,
elementi totalmente pretermessi. Naturalmente i suddetti elementi, che deporrebbero
di per sé per operazioni concorsuali tutt'altro che complesse, potrebbero esser
bilanciati in senso inverso da altre circostanze, delle quali però nella decisione
della Corte non vi è traccia. In particolare, nel rendere ragione della durata del
concorso, un peso notevole avrebbe potuto avere il numero di partecipanti (criterio
assunto, non per caso, quale parametro normativo nel cit. art. 11 del D.P.R. n.
487 del 1994). Ma anche di tale fattore la sentenza tace completamente.
In conclusione, non essendo contestato il pregiudizio subito dal Granata per effetto
del licenziamento, la sua domanda risarcitoria è stata rigettata sotto il profilo
dell'assenza di un comportamento colpevole della amministrazione comunale, per mancanza
di un parametro normativo cui collegarlo. Per contro, tenendo presente che la regola
non sempre può esser identificata in uno specifico enunciato, ma va ricostruita
alla stregua di una complessiva considerazione dell'ordinamento, o, più realisticamente,
del particolare settore o sottosettore di questo, costituente lo specifico campo
di riferimento normativo, deve dirsi che la condotta del Comune di Massa di Somma
avrebbe dovuto esser valutata alla stregua del principio per cui anche prima dell'entrata
in vigore del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, ("Regolamento recante norme sull'accesso
agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi,
dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi") il
quale contiene, fra l'altro, norme sui termini di durata dei pubblici concorsi,
la Pubblica Amministrazione può esser ritenuta responsabile
del pregiudizio subito a causa della durata delle operazioni concorsuali, quando
questa ecceda i limiti di ragionevolezza da valutare alla stregua di tutte le circostanze
del caso, e segnatamente del livello delle professionalità da selezionare e del
numero dei partecipanti in relazione a quello dei posti messo a concorso.
L'accoglimento, nei precisi limiti indicati, dei due motivi in esame determina l'assorbimento
degli altri. Si impone quindi la cassazione della sentenza, con rinvio ad altro
giudice di appello che riesaminerà la causa sulla base delle indicazioni e delle
direttive di cui sopra e in particolare del principio di diritto appena enunziato.