Cass. Pen. n. 109 del 05/09/2006
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta
Penale, sentenza n.109/2006 (Presidente: M. Battisti; Relatore: V. Romis)
LA
CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
IV
SEZIONE PENALE
SENTENZA
OSSERVA
C. N. ha proposto ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Milano aveva respinto il
ricorso/ reclamo presentato dal C. contro il provvedimento del Giudice
dell’esecuzione di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese
dello Stato.
Il ricorrente ha chiesto l’annullamento
dell’impugnato provvedimento, deducendo violazione di legge sotto un duplice
profilo: la norma richiamata dal giudice nel suo provvedimento, deducendo
violazione di legge sotto un duplice profilo: la norma richiamata dal giudice
nel suo provvedimento, art. 15 ter della legge 30/7/1990 n. 217 e succ. mod.,
in forza del quale, in caso di convivenza, il reddito ai fini della norma
stessa è costituito dalla somma dei redditi di ogni componente del nucleo
stabilmente convivente, troverebbe applicazione solo in relazione ai
procedimenti civili e amministrativi, e non anche in sede penale, laddove,
invece, lo stato di convivenza rileverebbe solo con riferimento al coniuge ed
ai familiari ai sensi dell’art. 3, comma secondo, della legge n. 134/2001 (già
legge n. 217/90), poi sostituito dall’art. 76 del TU n. 115/02 attualmente in
vigore; lo stato di convivenza sarebbe risultato comunque interrotto in
conseguenza dei periodi di detenzione del C. e di quelli da costui trascorsi in
comunità terapeutiche.
Sono poi pervenute note del difensore, con
argomentazioni a sostegno della tesi prospettata con il proposto gravame.
Il ricorso deve essere rigettato perché
infondato alla luce dell’orientamento delineatosi in materia nella
giurisprudenza di legittimità.
Ed invero questa Corte ha già avuto modo di
occuparsi della questione relativa ai limiti di reddito, ai fini
dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel caso di situazione di
convivenza more uxorio; e, con riferimento a fattispecie relativa alla
disciplina di cui alla legge n. 134/01 (che aveva sostituito quella n. 214/90),
ha precisato che per la individuazione del reddito rilevante ai fini
dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, occorre tener conto, a norma
dell’art. 3, comma II, della legge 30 luglio 1990 n. 217, della somma dei
redditi facenti capo all’interessato e agli altri familiari conviventi,
compreso il convivente more uxorio (Sez. 4, n. 13265/04, imp. Zen, rv. 228035).
Orbene, come detto, tale principio è stato
affermato in relazione alla disciplina prevista dalla legge 219/90 come
sostituita dalla legge n. 1354/01, in cui per i procedimenti civili ed
amministrativi risultava indicata genericamente la convivenza (art. 15 ter,
comma II, inserito proprio con legge 134/01) mentre per i procedimenti penali
vi era lo specifico riferimento alla convivenza con il coniuge.
Dunque, questa Corte, in relazione alla
normativa nella quale vi era esplicito e letterale riferimento alla convivenza
con il coniuge, ai fini delle individuazioni del limite reddituale per
l’ammissione al gratuito patrocinio nei procedimenti penali (ed a differenza di
quelli civili ed amministrativi), ha interpretato la norma stessa nel senso
dell’equiparazione della convivenza coniugale alla convivenza more uxorio.
Non vi è, pertanto, alcuna ragione per
discostarsi da detto orientamento, pur nella vigenza del testo unico n. 115/02,
applicabile nella concreta fattispecie avuto riguardo alla data della sua entrata
in vigore (1° luglio 2002) ed all’epoca dell’istanza di ammissione al gratuito
patrocinio (18 luglio 2002), pur non essendo stata prevista alcuna differenza
per i procedimenti penali rispetto a quelli civili ed amministrativi, e pur
essendo stata testualmente indicata, ai fini che in questa sede rilevano, la
convivenza con il coniuge.
Il Collegio ritiene penalmente condivisibile
l’indirizzo interpretativo appena ricordato, anche perché lo stesso risulta
assolutamente in linea con la significativa evoluzione sociale, normativa e
giurisprudenziale, registratasi negli ultimi tempi ed evidentemente finalizzata
a dare rilievo sociale e giuridico (ovviamente, sia in bonam che in malam
partem) alla famiglia di fatto e, di conseguenza, al rapporto more uxorio che
nel caso di specie non pare possa essere messo in discussione, sotto il profilo
fattuale, avendovi fatti esplicito riferimento lo stesso C. nell’istanza di
ammissione al gratuito patrocinio per come si rivela dal testo dell’impugnato
provvedimento.
Come è noto, infatti, e con particolare
riferimento proprio al vincolo tra soggetti conviventi more uxorio,
l’evoluzione giurisprudenziale ha portato al riconoscimento della famiglia di
fatto, quale situazione di rilevanza giuridica.
Muovendo dalla evidente necessità di porre
l’accento sulla realtà sociale piuttosto che sulla veste formale dell’unione
tra due persone conviventi, è stata dunque riconosciuta valenza giuridica a
quella relazione interpersonale che presenti carattere di tendenziale
stabilità, natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza
di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale (basti
pensare, tra i principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità in sede
civile, a quello secondo cui deve attribuirsi rilievo, quanto alla
corresponsione dell’assegno divorzile dovuto in conseguenza di scioglimento del
matrimonio, al rapporto di convivenza more uxorio, caratterizzato da stabilità,
continuità e regolarità, eventualmente instaurato dal coniuge beneficiario
dell’assegno stesso: Sez. 1, n. 11975/03, rv. 565799).
Dovendo confrontarsi con le mutate concezioni
che via via si sono affermate nella società moderna, la giurisprudenza, in
materia di rapporti interpersonali, ha dunque considerato la famiglia di fatto
quale realtà sociale che, pur essendo al di fuori dello schema legale cui si
riferisce, esprime comunque caratteri ed istanze analoghe a quelle della
famiglia stricto sensu intesa.
Parimenti infondato è il secondo profilo del
ricorso, secondo cui il rapporto di convivenza sarebbe risultato interrotto
dalla detenzione del C. (nonché ai periodi dallo stesso trascorsi presso
comunità terapeutiche).
Anche su tale punto questa Corte ha avuto già
modo di pronunciarsi ed ha enunciato il condivisibile principio di diritto
secondo cui il rapporto di convivenza, ai fini del calcolo reddituale per
l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non si interrompe con lo stato
detentivo della persona interessata al gratuito patrocinio (in tale senso, ex
plurimis: Sez. I, n. 16160/01, Crissantu, rv. 218638; Sez. IV, n. 37992/02,
imp. Lucchese, rv. 223790).
Al rigetto del ricorso segue, per legge, la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
Roma, 26 ottobre 2005.
Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2006.