Cass. Civ. n. 21080 del 03/11/2004
Svolgimento del processo
Con
sentenza in data 8.5/9.6.1997, il Tribunale di Rimini pronunciava lo
scioglimento del matrimonio contratto l'11.4.1963 da (omissis) e (omissis)
riconoscendo a quest'ultima il diritto ad un assegno di divorzio pari a lire
900.000 mensili indicizzate, tenuto conto del fatto che la beneficiaria aveva
collaborato attivamente con l'ex coniuge, per quindici anni, nella gestione di
un albergo e dei numerosi beni immobili di cui l'obbligato era proprietario e
dei quali si era fittiziamente spogliato alienandoli al fratello negli anni
1984/1985, nonchè dei proventi derivanti dalla gestione di un albergo e di un
locale notturno, intestati all'attuale convivente.
Avverso
la decisione, proponeva appello il (omissis) chiedendo diessere
esonerato dal pagamento dell'assegno di divorzio o, in subordine, che ne
venisse ridotto l'ammontare.
Resisteva
nel grado l'appellata, chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte territoriale di Bologna, con
sentenza in data 4.5/10.7.2001, accoglieva l'appello e, per l'effetto,
respingeva la domanda di assegno di divorzio avanzata dalla (omissis)
compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio ed assumendo:
a) che
dalla documentazione in atti risultasse una situazione dell'appellante ben
diversa da quella ritenuta dai primi giudici come assai florida e sicuramente
compatibile con l'obbligo assistenziale che doveva fargli carico nei confronti
dell'ex coniuge, non risultando il (omissis) possedere più beni
immobili, senza che, del resto, apparisse credibile la pretesa artificiosità
della situazione anzidetta, tenuto conto dell'interesse di un imprenditoread
apparire solvibile per poter proseguire la propria attività;
b) che,
per altro verso, l'appellata non avesse provato, come era suo onere, di versare
nelle condizioni per ottenere il riconoscimento del diritto ad un assegno di
divorzio;
c) che la
predetta, infatti, si fosse limitata in primo grado ad affermare, da un lato,
che il (omissis) era proprietario di numerosi immobili e titolare di
varie attività turistiche (ciò che risultava smentito dalla documentazione
sopra richiamata), nonchè, dall'altro lato, che essa svolgeva solo attività
saltuaria in quanto priva di qualificazione professionale, senza null'altro
dedurre e provare di fronte alla contestazione di controparte;
d) che il
(omissis) ormai settantenne, dallo svolgimento dell'attività di gestore
di un locale da ballo in (omissis)ricavasse un reddito modesto di pochi
milioni, laddove la (omissis) che durante l'unione coniugale coadiuvava
il marito nella conduzione di un albergo, conviveva stabilmente con altro uomo;
e) che la
riferita compensazione delle spese di ambo i gradi trovasse giustificazione
nella qualità soggettiva delle parti e nell'oggetto del contendere.
Avverso
tale sentenza, ricorre per Cassazione la (omissis) deducendo un unico
motivo di gravame, cui resiste con controricorso il (omissis) il quale,
a propria volta, spiega ricorso incidentale parimenti affidato ad un solo
motivo.
Motivi della decisione
Deve,
innanzi tutto, essere ordinata, ai sensi del combinato dispostodegli artt.
333 e 335 c.p.c., la riunione di entrambi i ricorsi, relativi ad
altrettante impugnazioni separatamente proposte contro la stessa sentenza.
Con
l'unico motivo di impugnazione, lamenta la ricorrente principale violazione e
falsa applicazione della norma di cui agli artt. 5 della legge
n. 898 del 1970 e 10 della legge
n. 74 del 1987, in relazione all'art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c., assumendo:
a) che la Corte territoriale ha negato
alla (omissis) il richiesto assegno di divorzio sulla base della duplice
argomentazione che il (omissis) non si troverebbe in situazione
patrimoniale compatibilecon l'obbligo di versare all'ex moglie un emolumento
mensile e che la richiedente non avrebbe dimostrato di trovarsi nelle
condizioni richieste per ottenere l'erogazione del detto emolumento ai sensi
delle norme di cui sopra, inoltre affermando che non poteva desumersi l'obbligo
assistenziale a carico del marito sulla base del divario reddituale esistente
fra le parti e ponendo a fondamento della decisione anche la circostanza che
l'odierna ricorrente convivesse stabilmente con altra persona;
b) che
appare fuorviante la motivazione addotta dalla Corte territoriale là dove
questa ha negato l'assegno anzidetto unicamente sulla base dell'affermazione
che la situazione patrimoniale dell'onerato non gli consentirebbe di versare
all'ex moglie alcuna somma a titolo di assegno, trovandosi lo stesso in una
situazione economica assai modesta, mentre la sopra riportata affermazione
costituisce esplicito disconoscimento del principio secondo cui laconsistenza
patrimoniale dei coniugi può essere ritenuta quale elemento per la
quantificazione dell'assegno ma giammai incidere in ordine alla sua concessione
o meno;
c) che
ulteriormente erronea appare la decisione del secondo Giudice là dove questo ha
rilevato che la (omissis) convive stabilmente con altro uomo, lasciando
intendere che tale elemento possa essere ritenuto anch'esso a fondamento del
rigetto della richiesta di assegno di divorzio;
d) che,
per contro, il Tribunale, decidendo il primo grado della controversia, ha
correttamente osservato come la (omissis) quasi sessantenne e senza
alcuna qualificazione professionale specifica, si trovi pressochè priva di
apprezzabile capacità di lavoro e di guadagno, mentre, manente matrimonio, la
stessa aveva fattivamente collaborato con il marito nella gestione di un
albergo godendo delrelativo status sociale ed economico, ulteriormente
rilevando che il (omissis) all'epoca della separazione, aveva una
professione avviata e cospicue proprietà immobiliari, formalmente cedute al
fratello negli anni 1984 e 1985, pur restando anche attualmente proprietario di
altri beni immobili;
e) che da
tale quadro e dal fatto che l'odierna ricorrente, dopo la separazione, aveva
esercitato solo sporadicamente lavori saltuari, mentre il (omissis)
dichiarava di prestare continuativa opera lavorativa quale gestore ausiliario e
non retribuito dell'albergo e del locale notturno già di sua proprietà durante
il matrimonio e recentemente ceduti all'attuale compagna, il primo Giudice ha
correttamente posto a carico del marito l'onere di versamento dell'assegno di
divorzio determinandone l'entità anche in relazione alla revoca
dell'assegnazione alla moglie dell'appartamento coniugaledi proprietà del
marito, onde l'odierna ricorrente, pur avendo fornito nei precedenti giudizi di
merito tutti gli elementi necessari e sufficienti a dimostrare il proprio
diritto al conseguimento dell'assegno richiesto, si è vista stravolgere in
appello la precedente decisione sulla base di una sentenza in contrasto con i
criteri più volte affermati dalla Suprema Corte.
Il motivo
non è fondato.
Il
Giudice di secondo grado, infatti, ha preso le mosse dal corretto richiamo del
principio secondo cui, in materia di assegno di divorzio, che costituisce
oggetto di un diritto disponibile condizionato unicamente dall'inadeguatezza
dei mezzi del coniuge richiedente per conservare il tenore di vita goduto in
costanza di matrimonio, il detto coniuge è gravato dall'onere -non intaccato
dai poteri officiosi spettanti al giudice - di dedurre e dimostrare, con idonei
mezzi di prova, riguardo all'an debeatur, quale fosse iltenore di vita e quale
deterioramento ne sia conseguito a seguito del divorzio, nonchè, riguardo al
quantum debeatur, tutte le circostanze suscettibili di essere valutate dal
giudice alla luce dei criteri legislativi stabiliti ai fini della
determinazione dell'assegno, senza che la sussistenza di un deterioramento
siffatto possa desumersi dalla mera circostanza di un sensibile divario di
condizioni reddituali in danno del coniuge richiedente (Cass. 6 agosto 1997, n.
7269; Cass. 20 marzo 1998, n. 2955; Cass. 17 novembre 1999, n. 12729; Cass. 17
marzo 2000, n. 3101).
Sulla
base di una simile premessa, la
Corte territoriale, con apprezzamento di per sè incensurato,
si è quindi espressa nel senso di ritenere che "l'appellata non ha
provato, com'era suo onere, di versare nelle condizioni per ottenere il
riconoscimento del diritto ad un assegno di divorzio", correttamente
argomentando, al riguardo, dal riferimento alle reciproche condizioni
economiche delle parti, inrelazione al principio secondo cui il carattere
assistenziale dell'assegno periodico di divorzio determina l'insorgenza del
relativo diritto solo in presenza di una situazione patrimoniale e reddituale
tale da non consentire al coniuge richiedente la conservazione di un tenore di
vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio per l'impossibilità, a
causa di ragioni oggetti ve, di procurarsi mezzi idonei a conservare l'indicato
tenore, onde, da un lato, detto coniuge ha l'onere di fornire la dimostrazione
del dato passato, ovvero della fascia socio-economica di appartenenza della
coppia all'epoca della convivenza e del relativo stile di vita adottato a quel
tempo, nonchè della situazione economica attuale, ovvero esistente al momento
della domanda, mentre, dall'altro lato, il giudice può tenere conto della
situazione patrimoniale e reddituale della famiglia, al momento dellacessazione
della convivenza, quale elemento induttivo da cui desumere, in via presuntiva,
il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e può, in particolare, in
mancanza di prova da parte del medesimo richiedente, fare riferimento, quale
parametro di valutazione del pregresso tenore di vita, alla documentazione
attestante le condizioni economiche dell'onerato (Cass. 21 agosto 1997, n.
7799; Cass. 28 luglio 1999, n. 8183; Cass. 16 giugno 2000, n. 8225; Cass. 24
maggio 2001, n. 7068; Cass. 7 maggio 2002, n. 6541).
In questo
senso, la Corte
territoriale ha:
a) per un
verso, con incensurato apprezzamento, dato conto del fatto che la (omissis)
"si è limitata in primo grado ad affermare...l'essere il (omissis)
proprietario di numerosi immobili e titolare di varie attività turistiche, il
che è risultato smentito dalla...documentazione proveniente dall'Ufficio dei
RegistriImmobiliari", là dove appunto "risultano a carico del (omissis)
numerose iscrizioni di ipoteca per concessione di vari decreti ingiuntivi, atti
di sequestro immobiliare ed una procedura esecutiva immobiliare",
aggiungendo, quindi, vuoi che "'tanto denota una situazione patrimoniale e
finanziaria dell'appellante ben diversa da quella ritenuta dai primi giudici
come assai florida e 'sicuramente compatibile con l'obbligo assistenziale che
gli deve fare carico nei confronti della (omissis)'", vuoi che la
stessa difesa di quest'ultima "'riconosce nella comparsa di costituzione
in giudizio che, sotto l'aspetto oggettivo, il (omissis) 'non risulta
possedere più beni immobili, anche se afferma trattarsi di una situazione
creata artificiosamente, circostanza che non appare assolutamente credibile
tenuto conto dell'interesse di un imprenditore ad apparire solvibileonde poter
proseguire la propria attività", vuoi, infine, che "(omissis)
oggi settantenne, dallo svolgimento dell'attività di gestore di un locale da
ballo di (omissis) ricava un reddito modesto, di pochi milioni, secondo
quanto risulta dalla documentazione fiscale"; b) per altro verso, con
apprezzamento del pari incensurato, dato conto del fatto che la (omissis)
(di nuovo) "si è limitata in primo grado ad affermare...di svolgere solo
attività saltuaria in quanto priva di qualificazione professionale, senza
null'altro concretamente dedurre e provare di fronte alla contestazione di
controparte", aggiungendo, quindi, che la medesima, la quale "durante
l'unione coniugale coadiuvava il marito nella conduzione di un albergo, convive
stabilmente con altro uomo come risulta dalla documentazione anagrafica
prodotta".
A fronte
di quanto sopra, appare perciò evidente:
a) che
sono destituite di fondamento le doglianze dell'odierna ricorrente là dove
questa assume che la Corte
territoriale "ha negato l'assegno divorzile richiesto unicamente sulla
base dell'affermazione che la situazione patrimoniale dell'onerato non gli
consentirebbe di versare all'ex moglie alcuna somma a titolo di assegno,
trovandosi lo stesso in una situazione economica assai modesta", atteso
che, come si è visto, le condizioni economiche del (omissis) di per sè
frutto di incensurato apprezzamento (secondo quanto pure accennato), ben
possono rappresentare "uno" degli elementi (e, nella specie,
peraltro, neppure in via esclusiva) comparativamente posti da detto Giudice a
base della decisione, onde il vizio di "fuorviante...motivazione"
denunziato dalla medesima ricorrente è da ritenere insussistente; b) che
analogamente è a dire riguardo all'ulteriore doglianza della (omissis)
relativaall'apprezzamento, da parte della Corte territoriale, circa la stabile
convivenza della (omissis) stessa con altro uomo, la quale, oltre a non
costituire (come si è visto) il solo elemento su cui poggia l'impugnata
sentenza, non risulta oggetto di specifica censura nè come circostanza in sè,
nè sotto profili capaci di inficiare quanto implicitamente sotteso, al
riguardo, dalla stessa Corte, ovvero proprio il fatto che una simile
convivenza, caratterizzandosi per i connotati della continuità e regolarità
ovvero essendo adeguatamente consolidata e duratura pur se non assistita da
garanzie giuridiche di stabilità, possa, a seguito di un contributo al
mantenimento da parte del convivente o, quanto meno, di risparmi di spesa
derivanti dalla convivenza medesima, costituire elemento suscettibile di
valutazione in ordine alla disponibilità, da parte del richiedente, di mezzi
adeguati rispetto al tenore di vita godutodurante il matrimonio e di acquisire,
perciò, rilievo fra i fattori capaci di incidere su siffatta adeguatezza (Cass.
9 aprile 2003, n. 5560; Cass. 8 agosto 2003, n. 11975; Cass. 8 luglio 2004, n.
12557).
Il
ricorso principale, pertanto, deve essere rigettato.
Con
l'unico motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente incidentale violazione e
falsa applicazione della norma di cui all'art.
91 c.p.c., deducendo che la
Corte territoriale, pur accogliendo in pieno le istanze del (omissis)
non abbia fatto discendere da tale pronuncia le necessarie conseguenze in tema
di disciplina delle spese secondo il principio di soccombenza, essendosi invece
limitata a riformare la sentenza del Tribunale sul punto ed avendo disposto la
compensazione delle spese stesse in entrambi i gradi di giudizio,laddove una
simile statuizione non può trovare giustificazione nè sulla base della qualità
delle parti (o, quanto meno, non su quella della (omissis)), nè sulla
scorta dell'individuazione dell'oggetto del contendere. Il motivo è
inammissibile.
In tema
di regolamentazione delle spese processuali, infatti, la relativa statuizione è
sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale
si verificherebbe nell'ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall'art.
91 c.p.c., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente
vittoriosa, laddove la valutazione dell'opportunità della compensazione, totale
o parziale, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito sia
nell'ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della sussistenza di altri
giusti motivi e, pertanto, esula dal sindacatoanzidetto, salva la possibilità
di censurarne la motivazione basata su ragioni illogiche o contraddirtene
(Cass. 13 febbraio 2002, n. 2066; Cass. 24 luglio 2002, n. 10861; Cass. 2
agosto 2002, n. 11597;
Cass. 1
ottobre 2002, n. 14095; Cass. 14 novembre 2002, n. 16012;
Cass. 15
novembre 2002, n. 16057; Cass. 17 gennaio 2003, n. 633;
Cass. 17
dicembre 2003, n. 19309).
Nella
specie, quindi, poichè il (omissis) lungi dal prospettare doglianze di
tal genere, ha ritenuto invece di contestare la fondatezza dei motivi
("qualità soggettiva delle parti" ed "oggetto del
contendere") posti dalla Corte territoriale a base della relativa
statuizione, deducendo che quest'ultima non possa trovare giustificazione in
motivi siffatti, deve essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso
incidentale.
La natura
della controversia e la stessa reciproca soccombenza giustificano la
compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il
ricorso principale, dichiara l'inammissibilità del ricorso incidentale e
compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così
deciso in Roma, il 12 luglio 2004.
Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2004