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Responsabilità nel caso di intervento di equipe

Sempre più frequentemente i trattamenti sanitari richiedono l’intervento di medici specialisti che operano in èquipe e ciò pone il problema di individuare le loro rispettive responsabilità. In materia penale tale problema è facilmente risolto dall’art. 27 della Costituzione, secondo il quale la responsabilità penale è personale.

Ne consegue che il sanitario, che abbia tenuto una condotta penalmente rilevante nello svolgimento della propria attività professionale – sia essa in forma autonoma o in èquipe - è in ogni caso punito a norma di legge.

Nell’ipotesi, quindi, che l’attività professionale sia svolta da una èquipe medica, la responsabilità penale sarà attribuita personalmente all’operatore sanitario, in ragione del preciso comportamento da lui assunto, indipendentemente dalle colpe e responsabilità addebitabili agli altri componenti dell’èquipe.

In materia civile, invece, il riconoscimento della responsabilità in capo al professionista dipende, in parte, dal ruolo da lui assunto nell’ambito della èquipe.

Occorre, pertanto, distinguere preliminarmente l’ipotesi in cui l’equipe sia diretta e coordinata da un medico in funzione di capo-èquipe, da quella in cui sia composta da sanitari che operano in posizione autonoma e paritaria.

Nel primo caso, è facile comprendere, come il medico preposto alla direzione dell’intervento o del trattamento sanitario abbia non solo il compito di coordinare e orientare l’attività degli altri professionisti, ma anche il preciso dovere di vigilare sul loro operato. Il capo–èquipe dovrà quindi assolvere i doveri derivanti dall’esercizio della propria attività medica ed, al contempo, verificare il rispetto di tali doveri anche da parte dei suoi collaboratori.

Lo stesso dovrà usare particolare diligenza nella scelta dei suoi assistenti, onde evitare di dover rispondere personalmente dei danni da questi determinati. E’ utile, al tal proposito, richiamare la norma di cui all’art.1228 c.c. secondo la quale il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi e colposi di costoro, (salva diversa volontà delle parti).

Pertanto, il paziente danneggiato da un comportamento colposo del professionista membro di un’èquipe medica, potrà comunque pretendere il risarcimento del danno dal un capo-èquipe, tanto a titolo di culpa in eligendo quanto di culpa in vigilando: sia per non aver avuto la necessaria diligenza atta a prevenire il danno sia per non aver controllato l’operato dei suoi collaboratori.

Nel caso in cui, invece, i medici operino in posizione autonoma e paritaria, vige il “principio dell’affidamento”, per il quale ogni membro dell’èquipe deve assolvere i propri doveri professionali con diligenza, prudenza e perizia al fine di garantire il raggiungimento del risultato auspicato, confidando al contempo nell’adempimento preciso degli stessi obblighi da parte dei colleghi.

In sostanza, ogni sanitario deve potersi concentrare sul corretto adempimento della propria prestazione professionale, operando in autonomia e senza ingerenze da parte di altri, salvo il caso in cui la sua cattiva condotta comprometta il buon esito dell’intervento o del trattamento medico. Se ciò non accade, il principio di affidamento viene meno ed il collega che si avveda di una situazione di pericolo determinata da tale condotta negligente, è autorizzato non solo ad ammonirlo, ma anche ad intervenite per evitare che il buon esito dell’intervento o terapia sia compromesso.

Pertanto, di regola, ogni medico è responsabile della propria condotta e risponde dei danni eventualmente derivanti, salvo che egli non abbia contribuito in un modo o nell’altro ad agevolare la determinazione di un danno provocato dall’altrui attività ed allora risponderà in solido con questi, al risarcimento di tutti i danni.