Sei in Diritto militare

Ricevi una consulenza legale in 24 /48 ore
comodamente tramite email
Servizi forniti in Diritto militare: Contratti di lavoro
Accesso documenti amministrativi Revoca incarichi dirigenziali
Impugnazione concorsi pubblici Recupero differenze retributive
Ricorsi mobbing Trasferimenti di personale
Redazione lettera legale Redazione atti
Assistenza giudiziaria + Tutti i servizi

Domande frequenti

1 - Il rilascio – dietro richiesta del proprio comando - di dichiarazione scritta di assenso o disponibilità all’assegnazione presso le sezioni di polizia giudiziaria delle Procure della Repubblica (quando site ad una distanza superiore ai 10 Km dalla sede di servizio) da parte di un appartenente alle Forze di Polizia, può tramutare un “trasferimento d’autorità” in “trasferimento a domanda” e pregiudicare così la corresponsione dell’indennità di trasferimento ?

Risposta
La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la distinzione fra trasferimento "a domanda" e "trasferimento d'ufficio" non dipende dal fatto che nella singola fattispecie vi sia stata una manifestazione di volontà del dipendente con la quale questi ha espresso il suo assenso ad un tramutamento di sede o il proprio gradimento per la nuova sede di assegnazione, atteso che il discrimine fra "trasferimento d'ufficio" e "trasferimento a domanda" deve piuttosto cogliersi nel diverso rapporto che intercorre nelle due ipotesi fra l'interesse pubblico e l'interesse personale del dipendente; per cui nel primo caso il trasferimento é reputato indispensabile per realizzare l'interesse pubblico, mentre nel secondo caso é contraddistinto da una prevalente considerazione per le necessità personali e familiari contemperate con le esigenze dell'Amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2001 n. 332). E’ stato quindi statuito che quando il trasferimento é diretto a soddisfare propriamente l'interesse pubblico, sono da ritenere irrilevanti, al fine dell'attribuzione dell'indennità di trasferimento, le eventuali dichiarazioni di assenso o disponibilità dell'interessato (Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2001 n. 332 citata; Sez. IV, 7 novembre 2000 n. 5966; Sez. IV, 12 dicembre 1997 n. 1435; Sez. IV, 24 maggio 1995 n. 353; quest’ultime tre pronunce specificatamente afferenti l’assegnazione alle sezioni di polizia giudiziaria di ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza).
Alla luce dell’orientamento giurisprudenziale consolidatosi, non vi é alcun dubbio che il trasferimento per l’assegnazione presso le sezioni di polizia giudiziaria delle Procure della Repubblica sia configurabile quale “trasferimento d’autorità”, essendo avviato su impulso d’ufficio con il fine specifico e prevalente di soddisfare l’interesse pubblico (ripianamento degli organici della sezione di p.g.) e costituendo elemento irrilevante la coincidenza di quest’ultimo interesse con il gradimento espresso dall’interessato in ordine al cambio di sede.
La dichiarazione di assenso o disponibilità al trasferimento risulta pertanto improduttiva di effetti, rimanendo fermo il diritto alla corresponsione dell’indennità di trasferimento di cui all’art. 1 della legge 29 marzo 2001 n. 86.



2 - I militari in servizio obbligatorio di leva (compresi gli ufficiali di complemento di 1^ nomina) possono svolgere attività private retribuite ?

Risposta
I militari in servizio obbligatorio di leva - compresi gli ufficiali di complemento di 1^ nomina - non sono legati all’Amministrazione della Difesa da “rapporto d’impiego”, ma da un mero “rapporto di servizio coattivo”.
Non sono perciò rinvenibili, per tale categoria, norme sancenti incompatibilità o divieti di svolgere attività lucrativa privata; né risulta applicabile l’art. 53, commi da 7 a 13 (applicabili anche alle Forze Armate e di Polizia), del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), disciplinante le incompatibilità e le attività retribuite vietate, posto che la norma ha quale destinatario il personale, civile e militare, avente lo status di “dipendente pubblico” (cioè vincolato da “rapporto d’impiego” con le amministrazioni pubbliche).
I militari in servizio obbligatorio di leva potranno quindi svolgere attività private retribuite durante la libera uscita, nonché in occasione di permessi o licenze.
Nello svolgimento di tali attività é fatto comunque divieto di indossare l’uniforme (art. 17, comma 5° punto b), del Regolamento di disciplina militare).



3 - La condanna penale emessa dal Tribunale Militare comporta le stesse conseguenze della condanna per reato comune per quanto riguarda l’annotazione nel casellario giudiziale ?

Risposta
L’art. 686 del Codice di procedura penale (le cui norme sono ora contenute nell’art. 3 del “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti” approvato con D.P.R. 14 novembre 2002 n. 313) disciplina le iscrizioni nel casellario giudiziale nella materia penale, sia essa regolata dal codice penale che da leggi speciali (quale é appunto la legge penale militare).
Pertanto, il provvedimento giudiziario penale di condanna definitiva per reato militare emesso da organi giudiziari militari é produttivo degli stessi effetti, in ordine all’iscrizione nel casellario giudiziale, dell’analogo provvedimento per reato comune emesso da organi giudiziari ordinari.



4 - In sede di procedimento disciplinare per l’irrogazione della consegna di rigore é possibile designare quale difensore di fiducia un militare in servizio presso un altro Ente ? In caso positivo, cosa si può fare qualora tale possibilità fosse negata dal Comandante di Corpo ?

Risposta
Con sentenza n. 37 del 22 gennaio - 5 febbraio 1992 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma secondo, della legge n. 382/1978 (Norme di principio sulla disciplina militare) nella parte in cui non prevede che il militare sottoposto a procedimento disciplinare ha la facoltà di indicare come difensore nel procedimento stesso un altro militare non appartenente all’”Ente” nel quale egli presta servizio. A seguito della predetta sentenza, sia il richiamato art. 15 sia l’art. 68, comma 1°, del Regolamento di disciplina militare (D.P.R. n. 545/1986) devono intendersi modificati nel senso che il militare difensore può essere scelto anche tra gli appartenenti ad Enti diversi da quello in cui presta servizio il militare sottoposto a procedimento disciplinare. Un eventuale diniego opposto dal Comandante di Corpo si rivelerebbe illegittimo, sia sotto il profilo della violazione di legge che sotto il profilo della lesione del diritto di difesa, e renderebbe conseguentemente il provvedimento sanzionatorio adottato all’esito del procedimento disciplinare suscettibile di annullamento, per vizi procedurali, in sede di gravame gerarchico o giurisdizionale.



5 - L’essere padre naturale di un bambino, legalmente riconosciuto, é una situazione preclusiva all’accesso volontario nelle Forze Armate o di Polizia ?

Risposta
A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 12-24 luglio 2000 n. 332, risultano oramai espunte dall’ordinamento giuridico tutte le disposizioni contenute nelle varie leggi di reclutamento delle Forze Armate e di Polizia che richiedevano come requisito essenziale la mancanza di prole.
La presenza di prole, quindi, non costituisce più condizione ostativa all’arruolamento volontario nelle Forze Armate e di Polizia.



6 - Ai militari di carriera in servizio attivo é fatto divieto di iscriversi ai partiti politici, tenuto conto che la legge n. 382/1978 non è chiara in proposito ?

Risposta
L’art. 98, comma 3°, della Costituzione sancisce che: “Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”.
Il Parlamento, dopo approfondita discussione in sede di lavori preparatori della legge n. 382/1978 (Norme di principio sulla disciplina militare), ritenne di non avvalersi della facoltà di stabilire limitazioni al diritto di iscrizione ai partiti politici per i militari di carriera in servizio attivo. Successivamente con decreto-legge 3 maggio 1991 n. 141 furono emanate dal Governo norme urgenti in materia, ma queste decaddero a causa della loro mancata conversione in legge.
Sicché il diritto in questione, allo stato attuale, é pienamente esercitabile dagli appartenenti alle Forze Armate.
Resta fermo, a norma del combinato disposto degli artt. 5, comma 3°, e 6, comma 2°, della citata legge n. 382/1978, il divieto di partecipare a riunioni o manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative, ai militari che si trovano nelle seguenti condizioni :
a) svolgono attività di servizio;
b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
c) indossano l’uniforme;
d) si qualificano, in relazioni a compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali.