Il possesso
A norma dell'art. 1140 c. c. il possesso dev'essere inteso come il potere sulla
cosa che si manifesta nell'esercizio della proprietà o di altro diritto
reale, l'apparenza dell'esercizio di un diritto reale. Esso può essere
sia titolato che non titolato, ossia può essere sorretto anche da una
giustificazione giuridica oppure esserne privo.
Da più parti ci si è domandati per quale motivo l'ordinamento ha
apprestato tutela ad una situazione che può anche essere originata da
un'azione illegittima di spoglio; in realtà ciò che si intende
garantire è l'effettività del rapporto instaurato dal possessore
con la cosa.
Tradizionalmente, fin dalle prime riflessioni in materia, si è affermato
che due sono i presupposti essenziali perché si possa parlare di
possesso giuridicamente rilevante: il c.d. corpus, il potere di fatto
esercitato sul bene, e il c. d. animus possessionis, l'elemento psicologico,
ossia l'intenzione del soggetto di tenere la cosa come propria; è
pertanto necessario che concorrano entrambi gli elementi menzionati.
Perché possa concretamente ravvisarsi una relazione tra la persona e la
cosa, è ovviamente necessario che la prima tenga un comportamento
positivo, oggettivamente apprezzabile; in quest'ottica non potrà
perciò rilevare l'inerzia del soggetto, che pure rappresenta in astratto
una forma di esercizio della proprietà, e neanche i diritti nudi e le
servitù negative.
Proseguendo nella lettura dell'art. 1140 c. c., si rileva la precisazione che
si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona che ha la
detenzione della cosa: emerge, dunque, una distinzione tra possesso immediato e
mediato.
Quest'ultima situazione, generalmente chiamata detenzione, invero, non deve
essere confusa con il possesso vero e proprio, in quanto difetta innanzitutto
del requisito dell'animus. Infatti la detenzione di una cosa si fonda sempre
sulla titolarità di un diritto personale di godimento (es. contratto di
locazione) o su un'obbligazione (es. contratto di deposito), tanto che ,
perché la detenzione possa evolversi in possesso, è necessario
che intervenga la c. d. interversio possessionis, attraverso l'opposizione
manifestata dal detentore al possessore, con cui il primo dichiara di iniziare
a possedere la cosa a nome proprio. Ciononostante, una tutela possessoria
è accordata dal legislatore anche al detentore, purché non sia
tale per mere ragioni di ospitalità o di servizio, mediante l'esercizio
dell'azione di reintegrazione.
Un'altra tipologia di relazione con la cosa che non vale a configurare il
corpus richiesto dalla legge è quella degli atti di tolleranza,
cioè gli atti compiuti con l'altrui tolleranza, grazie a relazioni di
familiarità, di amicizia e di buon vicinato. Nulla vieta, peraltro, che
tali atti, pure generalmente di scarsa importanza pratica, evolvano in
possesso.
Anche le modificazioni e la perdita del possesso sono strettamente legate
all'atteggiarsi degli elementi del corpus e dell'animus; pertanto è
sicuramente possibile che si passi da un possesso a contenuto minore ad uno a
contenuto maggiore e viceversa; per quanto concerne poi la durata del possesso,
la legge pone alcune presunzioni, dettate dagli artt. 1142 e 1143 c. c.,
secondo i quali, in primo luogo, se chi possiede oggi ha posseduto una
determinata cosa anche in un tempo remoto, si presume, salvo prova contraria,
che egli l'abbia posseduta anche nel periodo intermedio; inoltre, si ammette
che il possessore attuale abbia posseduto anche in precedenza, qualora possa
fondare detto possesso su un titolo, sebbene non valido.
Un'attenzione particolare merita poi la norma contenuta nell'art. 1146 c. c.,
che disciplina le ipotesi di successione e accessione del possesso. Il primo
fenomeno consiste nella parificazione del possesso alle altre situazioni
giuridiche patrimoniali del defunto, per cui anche il possesso continua in capo
all'erede, con effetti che decorrono dall'apertura della successione; il
secondo comma dell'articolo citato prevede, invece, che il successore a titolo
particolare, a causa di morte e per atto tra vivi, può unire il proprio
possesso a quello del suo dante causa per goderne degli effetti. Tali
meccanismi consentono di agevolare il proprietario che, non potendo più
ricorrere alla tutela possessoria, debba promuovere un'azione ordinaria e,
dunque, dimostrare i fatti costitutivi del suo diritto: egli, infatti,
potrà così provare di possedere la cosa da un periodo di tempo
che gli ha consentito di usucapirla.
Una disciplina particolare è dettata con riferimento al possessore di
buona fede, ossia chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto. L'art.
1147 c. c., nell'individuare detta figura, accoglie una nozione di buona fede
in senso soggettivo, da intendere come stato psicologico che si basa sulla
commissione di un errore inerente la condizione giuridica del bene. La norma da
ultimo citata, inoltre, sancisce una disciplina di favore per il possessore,
fissando innanzitutto una presunzione di buona fede, cosicché spetta non
al possessore dimostrare di essere incorso nel suddetto errore, ma a chi contro
di lui agisce provarne la malafede, e precisando altresì che la
sussistenza della buona fede rileva esclusivamente al momento dell'acquisto del
possesso, nel senso che "mala fides superveniens non nocet".
Gli effetti del possesso
Gli effetti prodotti dalla situazione "possesso" possono raggrupparsi
in tre distinte categorie: i diritti e gli obblighi del possessore di
restituire la cosa; gli effetti derivanti dall'acquisto di un bene mobile da un
soggetto non legittimato in base ad un titolo idoneo (c. d. regola
"possesso vale titolo"); l'acquisto della proprietà a titolo
originario per usucapione in virtù del possesso e del decorso del tempo.
Iniziando ad esaminare la prima tipologia di effetti indicati, viene in rilievo
la disciplina dei frutti, che differenzia opportunamente, a tale riguardo, la
posizione del possessore di buona fede da quella del possessore di malafede. Il
primo, infatti, a prescindere dall'origine del suo possesso, acquista la
proprietà dei frutti naturali separati dalla cosa-madre e dei frutti
civili maturati fino al giorno della proposizione della domanda giudiziale da
parte del proprietario, mentre, dopo che è stato posto in essere l'atto
introduttivo del processo, risponde verso il proprietario rivendicante dei
frutti percepiti e percepibili, da calcolare in relazione alla normale
fruttificazione della cosa; il secondo, invece, è tenuto a restituire
tutti i frutti fin dall'impossessamento del bene.
Ai sensi dell'art. 1149 c. c., inoltre, il possessore ha sempre diritto al
rimborso delle spese da lui sostenute per la produzione e il raccolto della
cosa, purché necessarie. Per quel che concerne, invece, le spese
affrontate per i miglioramenti, le addizioni e le riparazioni apportate al
bene, occorre compiere alcune distinzioni.
Il denaro versato dal possessore per eseguire le riparazioni ordinarie della
cosa, di semplice manutenzione, deve essere rimborsato a tutti i possessori
tenuti alla restituzione dei frutti, limitatamente al tempo per il quale la
restituzione è dovuta, nonché, dopo la domanda giudiziale, al
possessore di buona fede; le spese sostenute per le riparazioni straordinarie,
invece, sono rimborsabili integralmente anche al possessore di mala fede in
quanto incidenti sulla struttura stessa del bene.
Quanto pagato dal possessore per arrecare miglioramenti al bene viene
rimborsato mediante la corresponsione di un'indennità subordinata alla
sussistenza del miglioramento al momento della restituzione e di diverso
ammontare, a seconda che il possessore sia di buona o di malafede. Il diritto
del possessore di buona fede a ricevere un indennizzo per i miglioramenti
arrecati al bene altrui, così come previsto dall'art. 1150 del codice
civile, è peraltro strettamente connesso all'aumento attuale ed
effettivo che si verifica nel patrimonio del proprietario che agisce per la
rivendica del bene. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sentenza n.
16012/2002) precisando però che, ove l'opera realizzata sia
necessariamente destinata alla demolizione, si deve escludere il diritto del
possessore all'indennizzo data la precarietà dell'aumento di valore
conseguito dal fondo rivendicato.
Per quanto riguarda, invece, le addizioni della cosa realizzate dal possessore,
va detto che questi può essere costretto a rimuovere quelle opere che
non siano migliorative; nessun rimborso è ovviamente previsto per le
spese voluttuarie.
I menzionati diritti di credito vantati dai possessori di buona fede sono
assistiti da un eccezionale strumento di autotutela, quale il diritto di
ritenzione della cosa a fronte dell'inadempimento del proprietario
rivendicante; fino alla regolare esecuzione dell'obbligo di quest'ultimo di
versare le indennità dovute, il possessore dovrà pertanto
custodire e gestire il bene in via ordinaria.
La summenzionata regola "possesso vale titolo", denominata anche
usucapione speciale, è sancita dall'art. 1153 c. c., il quale prevede
che chi acquista in buona fede beni mobili "a non domino" in base ad
un titolo di per sé idoneo al trasferimento, acquista la
proprietà o altro diritto reale sul bene. Il nostro legislatore ha
inteso così tutelare la circolazione dei beni mobili, delineando una
fattispecie complesssa di acquisto a titolo originario.
A questo punto pare opportuno precisare ulteriormente i presupposti richiesti:
la buona fede, da intendere qui come la convinzione specifica di aver
acquistato il diritto, deve sussistere al momento della traditio, ossia della
consegna materiale e effettiva della cosa; il bene può provenire
esclusivamente "a non domino", non anche da chi risulti suo effettivo
proprietario o da un falso rappresentante; ancora, l'idoneità del titolo
va valutata in astratto, nel senso che il titolo, atto ad efficacia reale, deve
risultare privo di vizi ulteriori rispetto al difetto di legittimazione di chi
ha disposto del bene.
L'usucapione è un modo di acquisto a titolo originario di diritti reali
di godimento, fatta eccezione per le servitù non apparenti, fondato su
un possesso continuo, ininterrotto, pacifico e pubblico della cosa, unito al
decorso del tempo stabilito dalla legge. La realizzazione della fattispecie
complessa dell'usucapione produce l'estinzione dei diritti reali altrui
esistenti sul medesimo bene, ma qual è il suo fondamento? Attraverso la
previsione dell'usucapione l'ordinamento ha inteso eliminare l'incertezza del
contrasto tra stato di fatto e stato di diritto, sanzionando in qualche modo
chi si disinteressa all'esercizio del proprio diritto e privilegiando, invece,
chi in realtà assuma una condotta attiva nei confronti della cosa.
Al fine di individuare quale diritto venga acquistato per usucapione è
ovviamente necessario rifarsi alle modalità di esercizio, all'immagine
del possesso; una mera detenzione, infatti, non è assolutamente
rilevante. A tale riguardo, peraltro, vanno chiariti i caratteri del possesso
che consentono di usucapire il diritto reale di volta in volta esercitato.
Innanzitutto occorre esercitare in maniera costante e uniforme i poteri sulla
cosa (requisito della continuità); il possesso non deve mai essere
interrotto per un periodo superiore all'anno; il possesso acquistato in modo
violento o clandestino non giova per l'usucapione se non da quando la violenza
o la clandestinità sono cessate per il venir meno della violenza fisica
o morale o per l'esteriorizzazione del possesso (pacifico e pubblico).
Sotto il profilo del tempo occorrente per l'integrazione della fattispecie in
oggetto, il legislatore distingue tra usucapione ordinaria e speciale, che si
caratterizza per la previsione di termini abbreviati e del concorso di altri
requisiti, affini a quelli indicati in materia di regola "possesso vale
titolo".
In linea generale l'usucapione necessita di un periodo di venti anni per il
possesso avente ad oggetto beni immobili, universalità di mobili e
mobili acquistati in malafede; di dieci anni quando il possesso riguarda beni
mobili registrati e beni mobili acquistati in buona fede. In via eccezionale,
l'usucapione agraria di fondi rustici siti in Comuni montani si verifica quando
il possesso, oltre a presentare i suddetti requisiti, perdura per quindici anni
(art. 1159bis c. c.)
L'usucapione speciale viene integrata dalla sussistenza dei presupposti di cui
all'art. 1153 c. c. e dal decorso di termini abbreviati (10 anni per immobili e
universalità di mobili, 5 anni per l'usucapione agraria e 3 anni per i
beni mobili registrati).
L'usucapione viene interrotta a seguito della proposizione di una domanda
giudiziale volta a rivendicare il diritto sulla cosa ovvero del riconoscimento
del diritto stesso da parte del possessore.
La tutela del possesso
La tutela della situazione del possesso assolve ad una funzione conservativa dei
poteri di fatto esercitati sulla cosa ed è pertanto improntata ad un
criterio di sommarietà. Gli strumenti processuali predisposti dal
legislatore a tal fine sono l'azione di reintegrazione e l'azione di
manutenzione (c. d. azioni possessorie), disciplinate dagli artt. 1168-1170 c.
c., e la denuncia di nuova opera e la denuncia di danno temuto, meglio note
come azioni di nunciazione, esercitabili anche dal proprietario e dai titolari
degli altri diritti reali di godimento (artt. 1171-1172 c. c.).
L'azione di reintegrazione è diretta a porre rimedio alla sottrazione
della cosa oggetto di possesso al fine di ripristinare la preesistente
situazione possessoria. Legittimati a promuovere tale azione sono sia il
possessore che il detentore, purché non per ragioni di servizio o di
ospitalità, nei confronti dell'autore dello spoglio. Anche il conduttore
di un immobile, pertanto, può promuovere azione possessoria nei
confronti dell'autore dello spoglio. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione
(sent. 29 aprile 2002 n.6221) specificando che il conduttore va considerato
"detentore qualificato" per conto del locatore possessore.
Ne discende che egli ha diritto a tutelare la propria situazione giuridica
attraverso l'esercizio dell'azione di reintegrazione.Affinché la domanda
sia accoglibile è inoltre necessario che la cosa si trovi ancora nella
materiale disponibilità di chi l'ha sottratta e non sia stata distrutta
o consegnata ad altri. L'attore, poi, deve essere spogliato del suo possesso in
modo volontario e violento o clandestino. L'azione in commento è
peraltro sottoposta al termine di decadenza di un anno, con decorrenza dal
sofferto spoglio o dalla scoperta della perdita del possesso.A ben vedere,
l'immediatezza della tutela possessoria emerge già dalla lettera
dell'art. 1168 c. c., ai sensi del quale il giudice deve ordinare la
reintegrazione sulla base della semplice notorietà del fatto, senza
dilazione.
Lo scopo dell'azione di manutenzione è quello di assicurare il pacifico
godimento di una situazione possessoria in atto, inibendo i comportamenti ad
essa contrari. Essa è esperibile da parte del solo possessore, non anche
dal detentore, e tutela esclusivamente il possesso continuo, ininterrotto,
pacifico e pubblico di immobili o universalità di mobili che duri da
più di un anno, così da figurare come un'apparenza di diritto.
Per poter godere di tale tutela il possessore deve aver subito una molestia o
una turbativa, che rendano disagevole l'esercizio del possesso, laddove lo
spoglio lo esclude; la distinzione tra le due azioni spesso è piuttosto
labile, tuttavia la giurisprudenza ha provveduto ad ampliare notevolmente la
nozione di molestia rilevante, purché essa risulti d'intensità
apprezzabile.
La Corte di Cassazione, ha ora chiarito (Sentenza n. 15788 dell'11 novembre
2002) che "non ogni attività materiale posta in essere dal terzo
sulla cosa da altri posseduta configura necessariamente una molestia del
possesso, ma solo quella che rispetto ad esso abbia un congruo ed apprezzabile
contenuto di disturbo e denoti di per sé una pretesa dell'agente in
contrasto con la posizione del possessore, così da rendere il suo
estrinsecarsi impossibile, gravoso oppure notevolmente difficoltoso".
Ne discende, secondo i giudici della Corte, che non costituiscono molestia quei
comportamenti che risultano compatibili con l'esercizio del potere di fatto del
possessore e che non pregiudicano né limitano in modo apprezzabile tale
potere. E' stato così escluso, nella fattispecie presa in esame dalla
Corte, che la semplice sostituzione di una vecchia rete metallica, posta a
confine tra due proprietà, con una nuova rete (che non implica
restringimento, modificazione o limitazione del possesso) possa costituire
turbativa.
Anche per l'azione in oggetto la legge prevede il termine di decadenza annuale.
Va infine sottolineato che, qualora abbia subito dei danni, il possessore
potrà sempre attivare la tutela risarcitoria ex art. 2043 c. c.
La funzione svolta dalle azioni di nunciazione è essenzialmente
cautelare, di natura preventiva e inibitoria.
La denuncia di nuova opera, in particolare, presuppone un intervenuto mutamento
dello stato dei luoghi, un'opera intrapresa da altri sul proprio o sull'altrui
fondo e non completata, ed un pericolo incombente di danno per l'oggetto del
possesso altrui. Il giudice effettua una sommaria cognizione del fatto,
disponendo la sospensione o autorizzando la continuazione dell'opera, ma con le
opportune cautele. Il termine di decadenza qui previsto è di un anno
dall'inizio effettivo dell'opera.
La denuncia di danno temuto si riferisce, invece, a opere già compiute
sulla cosa minacciata, che comportano un pericolo grave e imminente.