Gli effetti patrimoniali della separazione nei rapporti con i figli.
Ai sensi
dell’art. 155 comma 2 c. c. il giudice della separazione stabilisce, tra
l’altro, la misura ed il modo con cui l’altro coniuge, non affidatario, deve
contribuire al mantenimento, oltre che all’educazione ed all’istruzione della
prole.
Quindi, ai fini della determinazione dell’assegno dovuto ai figli minori o
comunque non ancora autosufficienti, ancorché maggiorenni, la
valutazione della capacità economica di ciascun genitore deve essere
effettuata considerando la complessiva consistenza del patrimonio di ciascuno
di essi, espressa da ogni forma di reddito o altra utilità, e quindi
anche dal valore intrinseco dei beni immobili di proprietà.
Peraltro le buone risorse economiche del coniuge obbligato hanno rilievo non
soltanto nel rapporto proporzionale col contributo dovuto dall’altro genitore,
cosicché il coniuge più benestante dovrà necessariamente
partecipare in misura maggiore alle spese necessarie alla prole, ma anche in
funzione di un più ampio soddisfacimento delle esigenze del figlio,
posto che i bisogni e le legittime aspirazioni del figlio stesso non possono
non risentire del livello economico-sociale in cui si colloca la figura del
genitore, avendo diritto a mantenere un tenore di vita analogo, per quanto
possibile, a quello goduto in precedenza. Inoltre “il solo cambiamento della
condizione familiare del genitore tenuto all’assegno, per la formazione di una
nuova famiglia, e le sue accresciute responsabilità non legittimano di
per sé una diminuzione del contributo per il mantenimento dei figli nati
in precedenza, poiché la costituzione di un nuovo nucleo familiare
è espressione di una scelta e non di una necessità e lascia
inalterata la consistenza degli obblighi nei confronti della prole” (Cass.
sent. n. 15065 del 2000).
La legittimazione a percepire le somme dovute al figlio dall’altro coniuge
spetta al coniuge affidatario fino a quando il figlio medesimo sia minore,
mentre il contributo deve essere versato dal genitore onerato direttamente al
figlio dopo che questi abbia raggiunto la maggiore età e sia dunque
cessato l’affidamento. Dopo tale momento, quindi, secondo un più
risalente orientamento giurisprudenziale (in tal senso, tra le altre, Cass.
sent. n. 2784 del 1980), il versamento di detto assegno all’altro coniuge non
è idoneo a liberare il genitore obbligato. Tuttavia, le pronunce
successive, fino alla sentenza n. 9067 del 2002, hanno statuito che il figlio
divenuto maggiorenne ma non economicamente autosufficiente acquista una
legittimazione iure proprio all’azione per ottenere dall’altro genitore il
contributo al proprio mantenimento, concorrente però con la
legittimazione, anch’essa iure proprio, del genitore convivente.
Inoltre, la cessazione dell’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio
si verifica solo nel momento in cui il figlio maggiorenne raggiunga
l’autosufficienza economica, ossia costui percepisca un reddito corrispondente,
secondo le condizioni normali e concrete di mercato, alla
professionalità da esso definitivamente acquisita, senza che a tal fine
rivesta alcuna importanza il tenore di vita precedentemente goduto dal figlio
in costanza di matrimonio e durante la separazione dei genitori (si veda, da
ultimo, Cass. sent. n. 496 del 1996).