Interessi anatocistici
Interessi anatocistici (dal greco tokos = interesse e ana = nuovo) significa
interessi sugli interessi già maturati. In altre parole l’interesse maturato
viene portato a capitale (=capitalizzazione degli interessi) ed è a sua volta
produttivo di altri interessi.
Esistono tre tipi di interessi anatocistici, per quante sono le loro fonti:
interessi anatocistici legali, convenzionali e usuali. Sono legali
quelli previsti dall’art. 1283 c.c., che dispone
che gli interessi possono produrre interessi solo dopo la domanda introduttiva
del giudizio e decorrono dal giorno della domanda sugli interessi scaduti e
dovuti da almeno sei mesi. Sono convenzionali quelli che le
parti pattuiscono con apposita convenzione che sia successiva alla produzione
di interessi e anche in questo caso deve trattarsi di interessi scaduti da
almeno sei mesi. Per il combinato disposto degli artt. 1283
e 1284 c.c. questa convenzione sugli interessi per essere valida deve
essere stipulata per iscritto. Sono usuali quegli interessi
previsti dalla prima parte dell’art. 1283 c.c. che
descrivendo gli interessi legali e convenzionali fa salvi gli interessi
previsti dagli usi. Gli usi richiamati da tale norma sono gli usi normativi,
caratterizzati cioè da un comportamento ripetuto da parte della generalità
degli interessati (usus) accompagnato dalla convinzione che si tratti di un
comportamento giuridicamente obbligatorio, cioè conforme ad un precetto di
diritto (opinio iuris ac necessitatis).
La capitalizzazione trimestrale si ha generalmente nei
rapporti di conto corrente bancario e significa che ad ogni chiusura
trimestrale del saldo di conto corrente, gli interessi debitori vengono portati
a capitale, producendo così altri interessi. Si tratta di una clausola presente
nella stragrande maggioranza dei contratti di conto corrente stipulati con gli
istituti di crediti.
Il problema circa la validità della clausola è tutto incentrato circa la natura
della clausola stessa. In altre parole se la clausola fosse riproduttiva di un
uso normativo la capitalizzazione trimestrale sarebbe valida perché
rientrerebbe nella norma dell’art. 1283 c.c. che fa
salvi gli usi contrari (usi -abbiamo detto – normativi). Se invece le clausole
bancarie fossero solo usi negoziali (costituiti, cioè, da clausole non scritte
di un contratto, vincolanti per i contraenti in quanto si inseriscono nel
regolamento contrattuale, salva diversa volontà delle parti) sarebbero nulle
perché contrarie alla disciplina dell’art. 1283 c.c..
Normativa sulla trasparenza bancaria e giurisprudenza
La prima giurisprudenza che si è formata sulle clausole di capitalizzazione
trimestrale degli interessi ne aveva ammesso la validità sostenendo che le
clausole in questione riproducessero degli usi normativi (Cass. 6631/1981,
Cass. 4920/1987, Cass. 12675/1998) Successivamente sono intervenute alcune
modifiche legislative quali la legge anti usura (L.
108/1966) e le due successive normative sulla trasparenza delle
operazioni bancarie (L. 154/1992 e D. Lgs, 385/1993).
Alla luce della nuova normativa, le corti di merito hanno mutato il pregresso
indirizzo giurisprudenziale statuendo la nullità delle clausole in questione
sotto tre profili:
-
Contrarietà alla normativa sull’usura;
-
Inefficacia
delle clausole perché vessatorie ex art. 1469 bis del
c.c...;
-
Interpretazione degli usi come negoziali, con relativa
nullità delle clausole ai sensi dell’art.1283 c.c.
Questo nuovo indirizzo fu poi recepito con tre successive sentenze del 1999
dalla Corte di Cassazione (sent.: Cass. 2374/99,Cass. 3096/99 e Cass.
12507/1999) le quali considerarono che gli usi sottostanti alle clausole di
capitalizzazione degli interessi fossero usi negoziali, in
quanto mancherebbe l’elemento psicologico dell’uso normativo, costituito dalla
spontanea adesione ad un precetto giuridico.
Venne osservato, infatti, che i clienti sottoscrivevano le clausole dei conti
correnti bancari non perché ritenute conformi a norme dell’ordinamento, bensì
in quanto imposte dagli istituti di credito nell’ambito delle condizioni
generali di contratto predisposte dai medesimi istituti, in conformità delle
direttive dell’A.B.I., l’adesione alle quali costituiva di fatto la condizione
per accedere ai servizi bancari.
Il d. Lgs. 4/8/1999, n. 342 e la Corte Costituzionale
n. 425/2000
A seguito del mutamento giurisprudenziale il legislatore è
intervenuto a regolare la fattispecie dell’anatocismo con un Decreto
legislativo (il n. 342/1999) in base al quale
(art. 25) veniva affidata ad una delibera del CICR il compito di stabilire le
modalità e i criteri per la produzione di interessi anatocistici assicurando
l’identità del periodo di capitalizzazione degli interessi a credito e a
debito. L’art. 25 poi rendeva salvi gli interessi anatocistici prodotti in data
precedente alla sua entrata in vigore.
Quest’ultima norma però è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Cost.
con sentenza n. 425/2000, per eccesso di delega. La delibera del C.I.C.R. ha
ripreso la pattuizione dell’art. 1283 c.c. stralciando
il riferimento agli usi contrari, di fatto abrogando tale disposto per i
contratti bancari e finanziari. Inoltre la delibera ha richiesto, per la
validità degli interessi anatocistici (legali e convenzionali), la specifica
approvazione per iscritto ed infine ha stabilito che la cadenza di
capitalizzazione degli interessi debitori deve essere uguale a quella degli
interessi creditori.
La sentenza della Corte di cassazione a SS. UU. N.
21095/2004
La Corte di Cassazione a SS. UU. è stata chiamata a dirimere
un ultimo quesito che rimaneva aperto e cioè se l’uso normativo si dovesse
ritenere esistente prima del cambiamento dell’indirizzo giurisprudenziale,
considerato che, negli anni precedenti, la giurisprudenza lo aveva considerato
esistente. Se la risposta fosse stata positiva i clienti delle banche avrebbero
potuto richiedere indietro solo gli interessi anatocistici maturati dopo la
primavera del 1999. La Corte di Cassazione, però, ha dato al quesito risposta
negativa, affermando che l’operazione che compie la giurisprudenza è solo
ricognitiva e non creativa del diritto e che, quindi, se anche ha errato nel
definire come normativi degli usi che erano solo negoziali, con ciò non ne ha
modificato la natura.
Questa importante sentenza ha aperto la strada per i clienti delle banche di
richiedere la restituzione di tutti gli interessi calcolati sugli interessi,
andando anche a ritroso nel tempo fino all’ordinario termine di prescrizione
decennale.
Cosa si può fare contro l’anatocismo
Nei conti correnti stipulati prima della primavera del 1999 tutti gli istituti
di credito avevano previsto clausole di capitalizzazione trimestrale degli
interessi. Il cliente della banca che in quel periodo e in quello successivo
(se il contratto non è stato modificato dopo il 1999) ha avuto sul proprio
conto corrente interessi debitori può ripeterli (se pagati) o rifiutare di
pagarli (se ancora sussiste il debito).
La prima cosa da fare è quella di richiedere alla banca (ai sensi degli
artt. 117 D. Lgs. 385/1993) il contratto di conto corrente e tutti
gli estratti conto del periodo in cui sono maturati interessi
debitori. La seconda fase prevede l’intervento di un consulente (101
professionisti si avvale di tali consulenti) per il calcolo della
differenza tra gli interessi anatocistici pagati (o da pagare) e
quelli, invece, effettivamente dovuti. Successivamente si scrive alla Banca
chiedendo la ripetizione di quanto pagato in più e se la banca (come spesso
accade neppure risponde) agire in giudizio con atto di citazione.
Capita spesso che sia la banca ad agire per prima con un decreto ingiuntivo a
mezzo del quale si ingiunge al cliente di pagare il capitale e tutti gli
interessi, il cliente, a quel punto, ha 40 giorni di tempo per fare opposizione
a quel decreto ingiuntivo, in modo da chiedere al giudice di
decurtare dalla somma richiesta quella relativa agli interessi anatocistiti.
Non solo, ma a volte accade che gli interessi anatocistici richiesti dalla
banca abbiano superato il tasso soglia dell’usura; in tal caso il cliente potrà
richiedere indietro tutti gli interessi sulla base dell’art.
1815 c.c. che sancisce la nullità della clausola degli interessi se
questi sono usurai. I costi della procedura non sono alti:
-
si parte da euro 150 per la quantificazione di quanto la banca vi deve restituire.
-
dal 1 marzo 2002, è dovuto un contributo unificato per le liti giudiziarie, che varia a seconda del variare dell'importo della causa, e corrisponde a circa euro 150.
-
oltre a questo, ci sarà un altro costo che è strettamente legato alle spese vive da affrontare in un processo e che si
aggira intorno a € 500,00 (se il giudice lo richiederà, occorrerà avanzare le spese per una perizia tecnica degli estratti conti).
Alla fine, la banca restituirà le maggiori somme trattenute,
oltre interessi e rivalutazione; il giudice liquiderà gli
onorari all'avvocato a carico della banca, disporrà la restituzione del
contributo unificato, delle altre spese anticipate nel giudizio (compresa la
perizia) ed il cliente riavrà quanto anticipato anche in termini
di costo.